Carlo De Panfilis
Lacan ha creato il termine troumatismo[1] per illustrare la disarmonia fondamentale, la discordanza, il buco che esiste tra il bambino e ciò che lo circonda. Il bambino è sospeso in un mondo capriccioso, organizzato secondo un codice di cui non ha la chiave. Quando il bambino incontra la mancanza dell'Altro, quando si trova preso o invischiato nel desiderio dell'Altro, si trova di fronte a un buco che Lacan chiama il reale. "Quando il soggetto - afferma J.-A. Miller - deve fare i conti con l'opacità del desiderio del grande Altro e questa opacità, la sua illeggibilità, ha l'effetto della Hilflosigkeit freudiana, l'angoscia del soggetto, è allora che ricorre al fantasma come difesa”[2].
Una risposta al reale
Possiamo vedere nel Fort-Da[3] la matrice del fantasma, il primo atto della sua costituzione, ovvero il primo atto con cui il bambino si difende dal reale appoggiandosi al gioco, al linguaggio, all'oggetto. Attraverso la parola costruisce il proprio oggetto e si costituisce come soggetto desiderante. È ciò che aveva colto Freud nell’osservazione del gioco ripetuto più volte, che mostra come un bambino possa dirigere se stesso sull'Altro palcoscenico di un fantasma. È il gioco di un bambino che fa sparire un rocchetto, che lancia e poi riporta sul bordo del letto, cantando il movimento con le parole fort e da, (via e qui). appoggiandosi dunque sull'ordine significante. Il bambino che sembra giocare da solo con il suo rocchetto sta giocando con l'Altro. Gioca con l'assenza dell'Altro reale, "tampona l'effetto della scomparsa della madre facendosene l'agente"[4]. In effetti il linguaggio, il “via” e il “qui”, attraverso il gioco gli permette di prendere le distanze dalla sua angoscia: "fare di sé il regista" gli permette di annullare, di cancellare il fatto che, altrimenti, è solo il burattino del significante, “gli permette di considerarsi come il macchinista, cioè come il regista di tutta la cattura immaginaria di cui altrimenti non sarebbe che la marionetta vivente”[5]. La realtà si costituisce per il bambino in questo modo, sostenuta da un oggetto e da un gioco che ne sono l'ossatura e al tempo stesso si costituisce il soggetto.
Produrre un soggetto, costruirsi un corpo
Il bambino gioca, cioè si diverte, prima con le parole e poi con l'equivalente di un pezzo del suo corpo, il rocchetto. L'osservazione di Freud sul nipote ci mostra come " l'operazione del significante, l'iscrizione nella catena significante (fort-da) produca un soggetto, e come questo non avvenga senza l'estrazione di un oggetto."[6] Si pone quindi la questione di come sia possibile generare un tale effetto di soggetto nei bambini per i quali l'operazione di taglio, separazione e negazione del godimento non ha avuto luogo o che presentano difficoltà nella sua messa in atto, come nei bambini il cui corpo non risponde ad alcune funzioni senza che ci sia una lesione né la costituzione di un sintomo. Ci sono bambini che inciampano con il corpo e nel loro corpo e nelle parole difficili da articolare. Corpo difficile da rappresentare e da localizzare nello spazio. Bambini inabili nell’uso degli oggetti o malati di vivacità; senza parole o sempre distratti. Nella clinica dell’inabile con il corpo o del corpo maldestro, addormentato, è la costruzione del corpo che è in questione, è l'avvenire del soggetto di fronte al reale pulsionale che è in gioco.
Il gioco, il fantasma e l'oggetto
Attraverso i sogni, nel gioco, nei suoi racconti, il bambino mette in scena i propri significati, dà interpretazioni che mirano a dare un senso a ciò che si presenta come trauma: è preso nelle sue parole come soggetto, il che è diverso dall'essere nella posizione di oggetto. Soggetto di desiderio: il tempo zero del desiderio, il suo sorgere " è determinato dal primo oggetto che ha la caratteristica di essere cedibile"[7]. In psicoanalisi non esistono altri oggetti se non quelli che possono essere colti nel e dal mondo del linguaggio: la simbolizzazione permette al bambino di trovare la sua posizione in relazione ai suoi oggetti e in relazione agli altri di cui è oggetto. "Ci sono due tipi di oggetti, quelli che possono essere condivisi e quelli che non possono essere condivisi, che Lacan chiama oggetti metonimici"[8]. Un oggetto che non può essere condiviso si riferisce all’ oggetto-causa del desiderio e non ci si può avvicinare a questo senza gli altri oggetti che fanno parte del mondo del bambino. Nel bambino come nell’adulto occorre che il soggetto abbia sufficientemente costruito il fantasma che lo anima, con la versione dell’oggetto di cui dispone secondo l’età. È questa la dimensione dello sviluppo secondo Lacan.
Per un'etica dell'atto
La pratica con i bambini ci invita a cogliere il grande lavoro con il quale l'essere parlante si trova ingaggiato fin dai primi momenti della propria esistenza per confrontarsi con il reale ed emergere come soggetto. L'incontro con il dire del bambino, gli oggetti che lo accompagnano, i suoi giochi nel quale cerca di emergere come soggetto, sono esperienze uniche come è unico il soggetto. Diventano uniche lì dove se ne percepisce la dimensione dell'atto che le sostiene. Questi incontri diventano allora una possibilità per il bambino e per chi se ne prende cura, nelle istituzioni, nei luoghi di cura, nel sociale per sostenere il desiderio del bambino nel suo divenire. Nella giornata di studio ci incontreremo per condividere esperienze, pratiche e ricerche.
[1] J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXI, Les non dupes errent, leçon du 19 février 1974. [2] J.-A. Miller, Une introduction à la lecture du Séminaire VI, La Cause du désir, 86, 2014 pp. 61-72. [3] S. Freud, Opere, vol 9, Al di là del principio del piacere, [1920], Torino, Boringhieri 1977, p 193. [4]J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere, Scritti, Torino, Einaudi 1974 e 2002, p. 633 5 Ibidem. [6] P. Lacadée, Un petit jeu comme équivalent d’un fantasme Le Pari de la Conversation - Numero 18 Aprile 2024 [7] J. Lacan, II Seminario, Libro X, L'angoscia, Torino, Einaudi, 2003, p. 361. [8] M-H. Brousse, De l'enfant objet aux objets de l'enfant, La Petite Giraffe, 26, Institut du Champ Freudien, Juin 2007, p 38.