di Pasquale Indulgenza

Succede che un bambino porti nella cura le proprie fantasie e anche, talvolta, che ne rivendichi lo statuto di realtà. “Ho visto mio padre in compagnia di un lupo mannaro, l’ho proprio visto” dichiara un bambino ad un giovane e preoccupato terapeuta. 

In effetti, come intendere di cosa si tratta e come intervenire? Qui si tratta di posizionarsi correttamente rispetto allo statuto dell’oggetto e al modo in cui il bambino lo produce e lo tratta nella fantasia e, eventualmente, in ciò che definiamo allucinazione. 

Proponiamo a tal fine alcuni riferimenti testuali. 

Il primo è “Il poeta e la fantasia” testo di Freud del 1907 (FO, vol.5 pp375-376) in cui il bambino è il riferimento per intendere l’attività poetica: 

“Dobbiamo provare a cercare le prime tracce dell’attività poetica già nel bambino? L’occupazione preferita e più intensa del bambino è il giuoco. Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel giuoco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo. Avremmo torto se pensassimo che il bambino non prenda sul serio un tale mondo; egli prende anzi molto sul serio il suo giuoco e vi impegna notevoli ammontare affettivi. Il contrario del gioco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale”. 

Il secondo riferimento è al capitolo IV del seminario VI di J. Lacan[1], ed al testo di J.A. Miller “Interpretare il bambino”[2] che, tra le altre cose, tratta il su citato testo di Lacan. In particolare isoliamo un punto del discorso di Miller nel quale si riprende lo statuto freudiano dell’oggetto per poi elaborare un’indicazione di grande importanza nella cura del bambino: criticare l’allucinazione (la traduzione del testo di Miller è nostra).

Criticare l’allucinazione 

Nel capitolo IV, consacrato al sogno della piccola Anna, avete una presentazione molto semplice - che successivamente Lacan renderà più complessa ma che è molto utile - dei rapporti tra principio di piacere e principio di realtà, processo primario e secondario. Per Freud è lo sfondo, punto che Lacan riprenderà esprimendo le proprie riserve: ”In fin dei conti la realtà umana si costruisce secondo Freud su un fondo di allucinazione preliminare”[3]. In che modo il processo secondario mette alla prova ciò che accade nel processo primario? Il processo secondario assicura una funzione critica, una funzione di giudiziosi confronti del processo primario. Ebbene, nella pratica con i bambini abbiamo dei casi in cui c’è una sorta di break down del processo secondario. C’è una modalità dell’interpretazione che consiste, in qualche modo, nel criticare l’allucinazione. Ma bisogna farlo nel modo giusto. Se ne possono dare numerosi esempi e, in effetti, la psicoanalisi mostra come effettuare la manovra. 
Ci sono due modi diversi di praticare la critica dell’allucinazione. O si fa i “custodi della realtà”[4], e allora la psicoanalisi opera come se fosse il processo secondario, il giudizio; oppure insegna come sbrogliarsela con l’allucinazione, vale a dire comunica un modo di procedere. In questo caso si può sviluppare Interpretare il bambino come la comunicazione di un modo di procedere, in particolare con i soggetti allucinati C’è evidentemente un momento molto importante che Lacan isola in questo seminario, quello della rimozione: egli oppone quella che definisce la situazione di partenza, il momento in cui il soggetto pensa che l’Altro sappia tutto quello che pensa in quanto i propri pensieri si trovano nel luogo dell’Altro, e il momento in cui scopre che l’Altro non sa, ed è da lì che il contenuto della rimozione entra nell’inconscio. In ogni caso, è una via, una traccia: il fatto che l’Altro non voglia riconoscere una certa cosa, è ciò attraverso cui l’inconscio si apre, e si apre per raccogliere il non riconosciuto. 

Sebbene il testo di Miller sia molto chiaro, è interessante il breve commento che ne ha fatto Daniel Roy nel 2024 nel contesto del gruppo di studio della sezione clinica di Roma dedicato al testo di Miller (testo non rivisto dall’autore):

 “Termino con l’ultimo punto, criticare l’allucinazione, che si comprende meglio dopo l’ultimo congresso, tutto il mondo è folle. Il significante, come abbiamo colto, nel suo valore nativo è eminentemente allucinatorio e per coordinarlo al desiderio dell’altro occorre un movimento particolare del soggetto. Credergli, e questo passa in generale attraverso l’amore. Se un Altro vi ama il significante trova un posto e ci porta al tema delle prossime giornate: nei momenti di frangia dormiveglia possono apparire dei significanti che non sempre si collocano in un posto di enunciazione. Due possibilità: farsi guardiano della realtà. Non è il versante pedagogico, non è dare consigli - dovresti far così o colà. Vuol dire collocarsi ad un certo punto in cui si può dare un giudizio, fare una constatazione: usare i significanti del bambino per dire: è andata così, ecco quello che è successo, togliendo tutto il peso affettivo, di angoscia. Si tratta non di dire la verità ma la verità di ciò che lui ha detto. E’ la cosa più difficile perchè viene da porsi come adulti che danno consigli. Allora può succedere che nella seduta il bambino massacri lo psicanalista per il posto in cui si è messo. Dunque si tratta di essere guardiano dei suoi enunciati per quanto siano bizzarri. L’altra modalità è comunicare una procedura. Una volta che si è preso atto di ciò che il bambino ha detto, indicare il vettore di una trasformazione possibile; ad esempio: si, il tuo compagno ti insulta, e lo fa tutti i giorni, ma allora cosa succede? Cosa hai fatto? Come ti sei sentito? Quindi non più oggetto di molestie, non è detto che lui resti li dentro. Cosa fai? Cosa succede nella tua testa? Evidentemente secondo la struttura del bambino. Con un nevrotico si può chiedere più facilmente cosa pensi perchè il pensiero si è già collocato. Con uno psicotico, chiedere cosa è successe per cogliere eventualmente effetti dell’ordine della voce”.


 

[1] J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione. Einaudi, Torino 2016. p.69 - 88.   

[2] J.-A.Miller, Interpretér l’enfant, sta in Le savoir de l’enfant, Navarin, Paris 2013, p.13-26   

[3] J. Lacan. Il seminario. Libro VI…op.cit., p.75.   

[4] J. Lacan, Della psicoanalisi nei suoi rapporti con la realtà, sta in Altri scritti, Torino. Einaudi 2013, p.355   


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