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L'oggetto per il bambino autistico

B. De Halleux, Psicoanalisi applicata all’Antenna 110, in “Qualcosa da dire” al bambino autistico, Borla, Roma, 2011, pp. 55-56. «Pensare il bambino autistico nel linguaggio non è tuttavia evidente […]. Si realizza quanto questi bambini resistano a entrare nella parola, a lasciarsi disturbare dal linguaggio. Il linguaggio è messo alla porta e ciò che viene al suo posto è un rapporto prevalente con l’oggetto. Con questi bambini siamo in una clinica dell’oggetto, una clinica dove l’oggetto regna sovrano. Parlare di una clinica dell’oggetto significa prendere in considerazione diversi significati dell’oggetto. C’è l’oggetto che il bambino porta con sé, l’oggetto in quanto non è stato ancora elevato alla dimensione del significante, l’oggetto in quanto non è perso, l’oggetto-godimento proprio del registro del reale, questo versante che si oppone al registro del simbolico proprio del significante e del linguaggio».    

M. Egge, La cura del bambino autistico, Astrolabio, Roma, 2006, pp. 108-109 «I suoi oggetti, pennarelli, forchette, maniglie, spago eccetera, che ha sempre con sé, non hanno la funzione di gioco ma lo completano e nello stesso tempo lo isolano. Con questi oggetti il bambino autistico “si cura” e l’operatore non potrà che agganciarsi ad essi nella forzatura in cui cercherà di aiutare il bambino a entrare in una dialettica sostenuta artificialmente. Mentre l’oggetto simbolizzato nel gioco ha la funzione di fare ponte verso gli altri, questi oggetti costituiscono per l’autistico un complemento, una protezione, e al tempo stesso una barriera verso l’Altro […]. L’oggetto autistico […] non ha statuto di rappresentazione simbolica, non ha valore significante, non è sostituibile, è oggetto reale».         

É. Laurent, La battaglia dell’autismo, Quodlibet, Macerata 2013 «Il rapporto del tutto particolare che gli autistici intrattengono con alcuni oggetti è tra le principali piste che orientano il nostro approccio psicoanalitico all’autismo. Effettivamente è possibile reperire diverse modalità di accoppiamento del soggetto con un oggetto particolarizzato, supplementare, elettivamente erotizzato». p. 46.
«J.-C Maleval organizza in maniera decisiva la clinica dell’autismo a partire dall’oggetto voce. Egli conferisce all’oggetto voce il valore di traccia della singolarità che il soggetto autistico non sopporta». p. 47.   

J.-C. Maleval, L’autiste et sa voix, Seuil, Paris, 2009, p. 78. «Par rapport aux trois autres objets pulsionnels, oral, anal et scopique, la voix possède le privilège d’être celui qui commande l’investissement du langage, cet “appareil de la jouissance” qui permet de structurer le monde des images et des sensations de l’infans». 
Trad. nostra: «Rispetto agli altri tre oggetti pulsionali, orale, anale e scopico, la voce possiede il privilegio di essere quello che presiede all’investimento del linguaggio, questo “apparato di godi mento” che permette di strutturare il mondo delle immagini e delle sensazioni dell’infans».   

É. Laurent, La battaglia dell’autismo, Quodlibet, Macerata 2013 «Il supporto di un oggetto – questo al di là di qualunque dimensione di gioco – è necessario per farsi partner dell’autistico: “Senza oggetto non c’è Altro”». p. 48.
«Le scelte elettive e gli utilizzi degli oggetti autistici possono essere molto curiosi. Questi oggetti sono particolarmente vari. Si tratta, a un certo punto dello spettro dell’esperienza autistica, di un in-forma; mentre, a un altro punto dello spettro, di un senza forma». p. 78.
«Qui ciò che l’oggetto a mette in forma, che chiude in una forma, l’in-forma dell’oggetto a, non è altro che la cattle chute, che dà una forma all’oggetto sguardo spaventato – il proprio e quello dell’animale dagli occhi spaventati, […] terrificati e nervosi – e si articola al corpo». p. 80.
«In un’altra modalità di funzionamento, l’oggetto è estratto dal corpo, percepito come un’alterità radicale. L’oggetto in quanto traccia di vita deve essere abolito. In che modo passare da questa estrazione brutale a un oggetto meno crudele da estrarre?». p.81.  
«A mano a mano che s’allontana dal corpo, l’oggetto può, infatti, entrare nello scambio, nel legame sociale, come la cattle chute suscettibile di essere inclusa tra gli oggetti dello scambio sociale». p.81.
«Chiamiamo quindi “oggetto” questa sistemazione di resti, di detriti, prodotti dall’incontro con l’Altro del linguaggio che viene a disturbare il corpo, indipendentemente dal substrato biologico del funzionamento o disfunzionamento del suddetto corpo. L’oggetto è questa catena eterogenea, fatta di cose discontinue (lettere, pezzi di corpo, oggetti raccolti nel mondo…) organizzato come un circuito, fornito di una topologia di bordo e articolato al corpo». p. 81.   

J.-C. Maleval, “Qualcuno che possa mollare la presa”, in “Qualcosa da dire” al bambino autistico, Borla, Roma, 2011, p. 196. «Che cosa diventa allora il godimento trattenuto, non ceduto all’Altro, che resiste a una piena alienazione nel linguaggio? Dove si localizza? Non nell’Altro, come per il paranoico, dato che l’autistico non costruisce un delirio sistematizzato, e nemmeno nel corpo, come nel caso dello schizofrenico […]. Il soggetto autistico si ritrova affetto da una certa inerzia libidica: fondamentalmente non ha bisogno di niente. Tuttavia può animarsi allacciandosi a un bordo. È una specificità fondamentale nell’autismo: il godimento tende a localizzarsi su un bordo - donde quel fenomeno tipico di questo funzionamento che è l’oggetto autistico - uno dei componenti del bordo.  L’oggetto autistico possiede molteplici caratteristiche. Da un lato fa da barriera al mondo inquietante e incoerente degli altri e protegge dall’angoscia; ma è anche un doppio al quale il soggetto spesso si allaccia per trovarvi la propria dinamica». 

É. Laurent, La battaglia dell’autismo, Quodlibet, Macerata 2013 «Prendiamo l’esempio di un soggetto accolto all’Antenna 110, istituzione belga creata da Antonio Di Ciaccia, dove è stata inaugurata la “pratica à plusieurs”. Questo bambino non poteva separarsi da un bastone che trascinava e agitava intorno a lui […]. Gli operatori hanno prima preso in considerazione l’esistenza di quest’oggetto scelto dal bambino e poi hanno cercato di arricchirlo e di renderlo più complesso, di favorirne le declinazioni e la messa in serie con altri oggetti […]. I suoi interessi si sono potuti così sviluppare a partire dal suo oggetto, visto non come un ostacolo ma come un supporto per le sue invenzioni». pp. 108-109. 

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